Buonasera a tutti, scrivo questo post perché vorrei condividere con voi il mio lavoro di tesi e sottoporvi il tema della Riqualificazione Fluviale.
A mio avviso, rappresenta una questione di grande attualità e sulla quale è necessario intervenire con urgenza e con progetti attuabili ed efficaci. Il problema del dissesto idrogeologico, le frane, le alluvioni, i fiumi sfruttati e deturpati, sono questioni “vecchie”, delle quali si sente parlare da molti anni, ma che non sono mai state affrontate in modo adeguato.
È dagli anni ’70 che si discute di tali questioni, ma il nostro Paese, piuttosto che occuparsi seriamente del problema, ha risposto realizzando autostrade e grandi opere. L’incapacità di essere lungimiranti e la sottovalutazione dei problemi hanno prodotto una crescita edilizia incontrollata, legale ed illegale, che ha via via cambiato il volto dei territori fluviali. Si è costruito anche lì dove non si poteva costruire, si sono ignorate leggi dello Stato, come la L.183 del 1989, che già allora poneva il rischio idrogeologico al centro di qualsiasi scelta della pianificazione; si sono “consumate” regioni intere ed ancora oggi, ogni anno, 244 mila ettari di territorio vengono divorati da cemento e asfalto.
E adesso? Qual è la situazione attuale e quale futuro ci aspetta?
Negli ultimi anni l’attività edilizia è diminuita di molto; è un settore in profonda crisi e, penso, non possa tornare a crescere con le stesse modalità utilizzate nel passato, visto che la Commissione Europea ci impone un consumo di suolo pari a zero entro il 2050.
Questo non significa che il progresso si fermerà, ma semplicemente che dovremo trovare nuove forme di sviluppo. Entro il 2050 è probabile che possa iniziare una nuova grande fase: quella della riqualificazione, della ridefinizione delle città all’interno dei loro confini con l’unico limite di non superarli. Significa invertire la rotta; fino ad ora lo sviluppo del territorio è avvenuto in funzione delle aree urbane, in futuro lo sviluppo del territorio dovrà avvenire in funzione degli elementi naturali: acqua e spazi aperti.
Ci sono settori che nell’immediato futuro dovranno tornare ad acquisire importanza per i territori, mi riferisco al settore dell’agricoltura ed a quello della manutenzione del territorio che, a mio avviso, potranno fornire nuovi sviluppi anche in termini occupazionali. Gli agricoltori, quando ci sono, garantiscono la manutenzione dei campi e la regolazione microidraulica dei fossi e dei canali che erano e sono tutt’ora necessari per “mantenere” il territorio. Gli agricoltori, se ci sono, garantiscono i servizi ambientali. Non basta intervenire con nuovi argini, con nuove casse d’espansione, bisogna tornare a garantire anche il livello della manutenzione minuta che ogni singolo agricoltore può fare. La stessa manutenzione che, fino a qualche decennio fa, non era necessario insegnare a nessuno, perché qualsiasi agricoltore sapeva che andava fatta ed era implicita nell’attività stessa dell’agricoltura.
Non si tratta solo di un problema ambientale ma è anche un grave problema economico. La stima dei danni subiti a causa del dissesto idrogeologico, riportata nel Libro Bianco della Commissione Europea, ci dice che in Italia si spende lo 0,7% del Prodotto Interno Lordo per riparare i danni da esondazioni. Per avere un’idea chiara su cosa questo significhi, basti pensare che per l’intero settore della ricerca si spende meno dell’1,2%. Per riparare i danni spediamo quasi quanto investiamo nella ricerca, oltretutto lo 0,7% del PIL è una cifra grande, se pensiamo che potremmo evitarcela. È un costo non più sostenibile, specialmente in un periodo di forte crisi economica. Non si può pensare di continuare ad avere un approccio basato esclusivamente sulla riparazione del danno lavorando in uno “stato di emergenza” continua.
Ma non solo i Comuni, le Province, le Regioni, lo Stato devono “invertire la rotta”. Ognuno di noi deve cominciare a farlo. Dobbiamo immaginare che la ricchezza del nostro futuro non è legata alle sole aree urbanizzate, sulle quali ci siamo concentrati fino ad ora, ma il vero capitale è il territorio aperto, sono i nostri fiumi, sono i corsi d’acqua.
Le tecniche per promuovere questo cambiamento certamente non mancano. Abbiamo a disposizione conoscenze e strumenti tecnologici all’avanguardia; abbiamo sistemi efficientissimi di monitoraggio; riusciamo a prevedere la quantità di acqua che pioverà nei prossimi giorni. Eppure tutto questo si è tradotto nell’infruttifero esborso di enormi quantità di denaro per la riparazione dei danni provocati da alluvioni.
Allora dov’è il problema?
Credo che il problema sia nella carenza di una governance efficace.
Le riflessioni espresse nella mia tesi di laurea hanno ampiamente sottolineato come il governo dei territori fluviali non possa fare a meno dell’integrazione tra strumenti di pianificazione urbanistico-territoriale e di settore e del coinvolgimento di tutti i soggetti pubblici e privati che vivono e operano su tale territorio A tal proposito lo strumento dl Contratto di Fiume può rappresentare la sede privilegiata per l’integrazione tra i soggetti e gli strumenti.
La sua capacità di considerare e affrontare le diverse problematiche presenti lungo tutta l’asta fluviale, proponendo azioni condivise che riguardano la mitigazione e la prevenzione dei rischi, il riequilibrio ambientale e la valorizzazione paesaggistica, l’uso sostenibile delle risorse idriche, la fruizione turistica, la diffusione della cultura dell’acqua etc...., è diventata una qualità imprescindibile nella pianificazione delle aree fluviali.
Aspetto che assume ancor più importanza in un contesto, come quello italiano, in cui i vari “poteri” non si parlano.
Lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, nella maggior parte dei casi, non riescono ad arrivare alle comunità locali, ma è giusto che queste ultime si riprendano il ruolo che spetta loro: le decisioni vanno riportate laddove hanno effetto.
È necessario che i territori decidano, insieme alle Istituzioni, le migliori azioni da intraprendere. Non si possono più subire le decisioni “dall’alto” perché questo modo di operare non ha prodotto risultati positivi.
Io credo che sostenere processi concertativi, come i Contratti di Fiume, può realmente rappresentare un’alternativa valida agli strumenti che fino ad ora hanno fallito.
https://issuu.com/andreazara/docs/andrea_zara_-_river_restoration
Comments